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Le nostre Uve
Pallagrello
Può una vigna, oltre che intrinsecamente armonica, essere anche bella? Può essere preziosa e rara e leziosa, capace di fondere architettura e paesaggio? È quanto dovette chiedersi, rispondendo positivamente, Ferdinando IV di Borbone quando, poco lontano dalla Reggia di Caserta, tra monte San Silvestro e il Belvedere di San Leucio, ordinò ai suoi giardinieri la creazione della Vigna del Ventaglio. «Un semicerchio – si legge in una descrizione del 1826 – diviso in dieci raggi, tanto somigliante ad un ventaglio che ne ha preso e ritenuto il nome. Ciascun raggio, che parte dal centro, ov'è il piccolo cancello d'ingresso, contiene viti d'uve di diversa specie». Nei dieci raggi, altrettante diverse qualità di uve, tutte del Regno delle Due Sicilie, ma solo due campane: il Pallagrello bianco e Pallagrello nero, varietà all'epoca denominate Piedimonte bianco e Piedimonte rosso dal luogo di provenienza. «I vini di questa contrada – si legge nel Dizionario geografico di Giustiniani  del ‘700 – sono eccellenti così bianchi come rossi, e sono de' migliori del Regno così per loro qualità, e natura, come per la grata sensazione che risvegliano nel palato. Vanno sotto il nome di Pallarelli, e sono stimatissimi ne' pranzi».

Poco produttivo, molto delicato, seguendo il destino di gran parte dei vitigni autoctoni della Campania, il Pallagrello fu messo da parte all'inizio del ' 900 in favore di piante più resistenti e maggiormente produttive, fino alla “riscoperta” ad opera di Peppe Mancini negli anni ‘90.

Pallagrello bianco e Pallagrello nero sono uno dei rari casi di uve della stessa varietà a bacca sia bianca che rossa. I grappoli sono serrati, piccoli, del peso massimo di 150 grammi, con acini perfettamente sferici (da cui il nome di piccola palla). Il Pallagrello bianco si vendemmia a inizio settembre, il Pallagrello nero è invece un’uva di “terza epoca”: si vendemmia infatti nel mese di ottobre.
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Casavecchia
Se c'è un vitigno misterioso e a suo modo magico, quello è il Casavecchia. Delle sue origini non si conosce praticamente nulla se si esclude la leggenda di una vecchia pianta, probabilmente sopravvissuta alle tremende epidemie di oidio prima e di fillossera poi, rinvenuta – secondo testimonianze di contadini – nei pressi d'un antico rudere a Pontelatone. Da quella pianta, dotata di un fusto largo 40 centimetri, trovata all'interno di quel che rimaneva di una sorta di "ortus conclusus" nei pressi dell'antica via Latina, che collegava Capua ad Alife, sarebbero nate tutte le altre, ottenute con l'antica tecnica raccomandata da Columella di mettere un ramo in terra e farlo radicare per poi ricavarne una barbatella a piede franco. Dal luogo del rinvenimento, una casa vecchia appunto, il nome Casavecchia.

Si potrebbe ipotizzare persino che il vitigno fosse alla base di un vino famoso in epoca romana, il trebulano proveniente da Trebula balliensis, villaggio sannita che sorgeva nei pressi dell'attuale Treglia, frazione di Pontelatone. Il trebulano, considerato da Plinio come uno tra i più pregiati vini italici, nasceva proprio nell'attuale quadrilatero produttivo Pontelatone, Formicola, Liberi e Castel di Sasso,  ancora oggi la patria elettiva del Casavecchia, vino di grande personalità e riconoscibilità. Sopravvissuto solo nelle piccole produzioni di vino a uso familiare dei contadini, citato negli anni ’60 dal grande Luigi Veronelli come vino di gran carattere, è stato riscoperto da Peppe Mancini all’inizio degli anni ’90.

L’uva Casavecchia ha un grappolo molto grande ma per fortuna molto spargolo, la qual cosa consente agli acini di potersi asciugare facilmente col vento tenendo lontane muffe e malattie. Si vendemmia tra fine settembre e inizio ottobre.